Imparare a vivere: competenza che si acquisisce con l’età della ragione. Età che varia in relazione ai singoli individui.
Che vuol dire ‘imparare a vivere’? Vuol dire imparare a non mandare a cagare subito chi ti fa girare ma aspettare un po’. Significa dargli prima una serie di possibilità di spiegarsi meglio, rettificare, riprendersi. E darsi contestualmente la possibilità di avere la certezza che il colui/colei meritino non l’invito quanto piuttosto lo sforzo. Perché se c’è una certezza, è che la reazione è sempre e comunque un regalo. È riconoscere che l’altro esiste e che lo vediamo. Mica poco.
Perché ‘imparare a vivere’ ha anche il prezioso corollario di imparare ad ignorare i rumori di fondo. Tagliare il ridondante. Per esempio, per me, tagliare tutti quelli che preferiscono lavorare alla distruzione della reputazione altrui, piuttosto che lavorare al miglioramento della propria. Quelli che se non riescono a fare qualcosa, dal pulire casa, a leggere un libro o a realizzare un progetto, é sempre colpa di qualcosa o di qualcun altro. Per capirci gli inutili per loro stessa definizione.
Quindi ‘imparare a vivere’ vuol dire, alla fine, non tanto selezionare le persone con cui avere a che fare quanto quelle da respingere. Che sembra la stessa cosa ma non lo è. E’ la traduzione moderna di quello che dicevano le nonne: si litiga solo con chi si ama.
Buon we!
E non si smette mai (di imparare)!
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A volerlo! C’è gente che non ha mai iniziato!
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