Presenza e assenza

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Ieri sera mi è arrivato un messaggio di Roberto che diceva ‘oggi ho preso l’autobus e tutti, ripeto, tutti stavano con il telefonino e parlavano ad alta voce…’

Ha ragione Roberto. Peraltro, ultimamente, a quelli che, dotati di invisibili auricolari sembrano parlare da soli, si sono aggiunti quelli che tengono in mano il telefono e parlano con l’interlocutore in viva voce. E se li guardi, ti guardano male come se quello che non sa stare al mondo fossi tu. Ma quelli che davvero mi fanno impazzire sono quelli che si scambiano messaggi vocali. Arriva, lo ascoltano, registrano il proprio e lo inviano. È così di seguito. Che uno pensa: i messaggi li mandi quando non puoi parlare o comunque stare al telefono. Ma così che senso ha? Sembra (!) che si voglia ridurre al minimo il contatto. Introdurre una relazione asettica di botta e risposta con la possibilità di mettere in mezzo una riflessione di qualche secondo in più, per spezzare la continuità, mettere una pausa che tenga un po’ distanti. E mi sembra più triste del parlare, sempre, ovunque e a voce alta. Che è comunque forma di alienazione. Sarò antica ma togliermi il gusto della reazione live non è cosa che mi piace. Posso accettarlo solo quando non sia possibile e anche allora non lo digerisco molto bene. Mi piace la forza dello scambio non mediato, e se devo scegliere più che la voce, il guardarsi negli occhi, anche fosse attraverso Skype. Mi piace la presenza e mai l’assenza. Mai no (sempre esagerata!): qualche volta mi piace anche l’assenza. La mia o quella altrui. Che poi è uguale.

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