Ieri sera ho mandato a Roberto una lista di temi di cui avrei voluto scrivere a partire da spunti colti questi giorni. Gli ho chiesto di scegliere tra:
- l’amore che trionfa sempre;
-
le abbuffate di questi giorni;
-
la tenerezza dell’amore materno delle mamme di ogni età;
-
gli amori che soccombono alla fatica della vita.
Ha scelto deciso il 4 mandandomi un disegno che mi è arrivato come un pugno allo stomaco e che renderà ogni mia parola un’inutile aggiunta.
I giorni di festa offrono sempre riflessioni sull’amore. A cominciare da quello delle famiglie che si riuniscono, degli auguri e dei pensieri da dedicare agli amici e ai parenti, che magari perdiamo di vista durante il resto dell’anno, e poi sull’amore per eccellenza. Quello con cui si rimane quando tutti gli altri sono andati via e restano le tavole da sparecchiare, i piatti da lavare, la casa da rimettere a posto, con cui si commenta la giornata appena passata e ci si congratula per aver riempito le pance ma anche i cuori di tutti. Quell’amore fatto di piccoli momenti troppi spesso sottovalutati. A cui non si da l’importanza che meritano. E che finisce spesso per soccombere alla fatica del quotidiano. Che finisce per spegnersi e non rinnovarsi perché non si riesce o non si è capaci di rimettere in circolo l’energia che regala. Io quei momenti li ho vissuti e avrei voluto fossero per sempre, avrei voluto invecchiare insieme a chi avevo scelto e mi aveva scelto ma non è stato possibile. Perché per restare insieme più che guardarsi negli occhi, serve guardare dalla stessa parte. Serve un progetto insieme anche più grande di un figlio. E noi non lo abbiamo trovato. Ci siamo allontanati e poi abbiamo lasciato quella panchina. Mi sono alzata io per prima perché non ho voluto rinunciare alla felicità e mi sono messa di nuovo in cammino. Sapendo che sarebbe stato doloroso, faticoso, difficilissimo ma che ne sarebbe valsa la pena. Non mi sono ancora fermata, e non so neanche se mai lo farò, ma so che ho scelto non solo il meglio per me ma anche per l’altro. E anche per mio figlio a cui ho voluto dire che l’unico modo per arrivare a destinazione è saper tornare indietro se ci si accorge di aver sbagliato strada e non ci sono alternative.
Altri quella panchina non lo hanno mai abbandonata. Restano così, distanti ma immobili. Che stiano ancora insieme o meno poco importa. Non si muovono per paura di perdere quel poco che hanno. Convincendosi che bisogna pur sapersi accontentare e trovando alla fine nuove aree di comfort.
Ma c’è una terza strada. Che poi è quella da tentare sempre prima di lasciarsi o restare lontani. Avvicinarsi. Ricordarsi di quando si stava stretti su quella panchina. Recuperare i dettagli. Ritrovarsi. Lasciare che il vento porti via la polvere e scopra di nuovo la vivacità dei colori. Provarle tutte prima di mollare. Perché solo così si fuggono i rimpianti. Soprattutto se non si ha la forza di alzarsi. Che può essere debolezza ma anche una forma d’amore.
Che se è così, e nessuno potrà mai con certezza affermare il contrario, a restare lontani si spreca solo tempo.
Buona giornata!