Il coronavirus – migliori o peggiori?

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Renato, anche ieri, mi chiedeva una riflessione su questa quarantena: in cosa ci ha migliorati, se ci ha migliorati. Intanto, a mio parere, bisognerebbe metterci d’accordo sul concetto di miglioramento: per qualcuno può coincidere con una maggiore apertura verso l’altro, con un maggiore rispetto di umani e ambiente mentre per altri può significare aver preso coscienza di chi e cosa tenere e di chi e cosa disfarsi per stare bene. Concetti che potrebbero coincidere in qualche caso, ma non è detto. Se penso a me, la pandemia ha confermato la conclusione a cui ero arrivata negli ultimi mesi prima del lockdown: non si può vivere in una città in cui i rumori di fondo coprono non solo la natura ma le nostre stesse voci; in cui sta nelle cose passare ore in macchina e sfogare la propria frustrazione su chi ci è accanto fuori e dentro casa; in cui bisogna lavarsi i capelli ogni due giorni perché soffocati da polvere e smog; in cui non riesci neanche bene ad associare i cognomi sul citofono alle facce degli inquilini dello stabile dove abiti. La pandemia, con dei costi altissimi soprattutto per alcuni, ci ha mostrato che potremmo ancora farcela ad invertire la tendenza: ha rallentato in un attimo i nostri ritmi, ci ha fatto tornare a fare la spesa intorno a casa, a riscoprire camminando la bellezza del cielo, a preoccuparci del vicino, a ritrovare la gioia di prossimità. Ad aprire gli occhi, pur nella consapevolezza di una cittadinanza globale, della necessità di un’azione concreta dove viviamo. O meglio dove finalmente abbiamo vissuto e non solo dormito. E a scoprire che non è utopico ridisegnare le città per viverci meglio: che è possibile rivedere gli orari di apertura delle attività commerciali, attivare lo smartworking, privilegiare gli spostamenti a piedi o in bici, usare la tecnologia come opportunità, agirla e non subirla, ad avere più tempo per occuparci di noi e degli altri senza aspettare il fine settimana o le vacanze. A trovarci di fronte alla più grande occasione di sempre per vivere meglio. Tornando al quesito iniziale, io non credo che questa esperienza di per sé ci renderà migliori: mi sembra più reale l’affermazione che vuole che i migliori miglioreranno e i peggiori peggioreranno. Perché neanche la pandemia può schiodare dalle proprie convinzioni chi non vuole cambiare. Perché cambiare anche solo prospettiva, seppure in talune circostanze vitale, è davvero molto faticoso e alcuni continuano a preferire la morte al riscrivere i propri piani. E per questi più che la pandemia ci vorrebbe un miracolo che è possibile ma meno probabile di un’epidemia mondiale.
Che dire? Confido sul miglioramento dei migliori e anche e soprattutto sui medi, quelli in mezzo, quelli che siamo tutti noi che anche solo adottando piccoli accorgimenti possiamo davvero fare, tutti insieme, la differenza. Che sarebbe davvero un peccato non fare. E voi che dite? Ne usciamo migliori, peggiori o uguali?
Buona giornata!
Il disegno è come la vede invece Roberto (la differenza è che prima ti succhiavano il sangue da maleducati, adesso lo fanno da beneducati…)

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