Nessun inverno dura per sempre

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Nessun inverno dura per sempre, nessuna primavera salta il suo turno (Hal Borland).

Apro gli occhi, è ancora presto. Rocky dorme, sbuffando di tanto in tanto. Prendo il cellulare e leggo queste parole riportate da un’amica sul suo stato di whatsapp. L’ho vista in settimana. Sta vivendo un momento di riscatto ed è felice. Le brillano gli occhi. E questa frase, che la racconta a pieno, è la prova che crederci porta sempre lontano. A volte un lontano di cui neanche si conosceva l’esistenza. Un lontano che mi ha commossa. Perché in quel racconto ho visto le tante volte che è successo anche a me. E perché quelle parole hanno reso carne tutto quello in cui credo e continuo a credere. Ovvero che il buio è sempre e solo un passaggio. E che ogni volta, tornando alla luce, mettiamo a fuoco qualcosa di nuovo o che almeno non avevamo visto e abbiamo l’occasione per imparare e diventare migliori.
Una visione questa, che ho sempre cercato di passare a mio figlio non per caso ma per volontà. Mostrandogli non solo il momento della soddisfazione ma anche quello della caduta. O se non della caduta, della fatica. Per due motivi; il primo perché ritengo che i genitori infallibili supereroi siano, oltre che finti, lontani e quindi più dannosi della grandine. E il secondo che costringere i figli a confrontarsi con monoliti imperturbabili, allergici alle umane fragilità, siano la primaria fonte di sostegno delle parcelle degli psicoterapeuti.
Questo per dire che per mio figlio sono, e voglio essere, sicuramente un riferimento, un help desk h24, ma con possibilità, talvolta, di interruzione servizio, per umana défaillance. Che ci sta e va accettata. A Marco ho mostrato, proprio partendo da me, e non per caso, che non esiste nessuno che non cada almeno una volta. Che a tutti capitano situazioni più o meno difficili da affrontare. E che i più fighi non sono quelli che resistono con tutta la forza ma quelli che si piegano e tornano su come i rami di un salice piangente sotto il peso della neve. Un’immagine potente che ho fissato in gioventù quando mi raccontarono di come nacque il judo, uno sport che ho praticato e di cui si parlava qualche giorno fa su questa pagina con Renato che ne è stato maestro. Un’immagine che dice che la migliore difesa non dipende dalla nostra forza ma da come sappiamo sfruttare quella di chi ci attacca. Da come, a volerla leggere più in generale, impariamo a gestire le avverse condizioni e a trarne il meglio. Una competenza che si passa con l’esempio e si mette a punto con la pratica. E che quando da i suoi frutti emoziona. Che, le emozioni, e le commozioni, loro sorelle, restano per me l’unico motivo per cui valga davvero vivere. Che, alla fine, si torna sempre qui.

Buona giornata! ❤️

E Roberto mi ha fatto tornare indietro nel tempo con il kimono e la mia cintura marrone ma anche molto sexy. Che non sono io… è lui che mi disegna così (cit) 😂

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