La felicità arriva quando meno te l’aspetti e fugge via veloce. Non va confusa con la contentezza perché è più profonda e coinvolgente. E’ rara, non capita molte volte nella vita di provarla, e dura un battito d’ali.
Te lo insegnano fin da piccolo e più o meno ti danno anche indicazioni sul dove, questi sparuti momenti di gloria, saranno allocati: il primo bacio o la prima volta, ma anche il raggiungimento di traguardi importanti come il diploma o la laurea, il giorno della prima comunione, quello del matrimonio, la nascita dei figli.
Si vive a tal punto con il pensiero che la felicità sia razionata che, nel momento stesso in cui si ritiene di essere felici, si diventa immediatamente tristi perché si pensa a chissà quando ricapiterà o peggio ancora se possa essere l’ultima volta. Si aggiunga che è da sempre buona norma, evitare di esternare troppo il proprio stato di grazia per sensibilità nei confronti di chi non è nella nostra condizione ma anche per evitare di suscitare energie negative negli altri che possano inficiarla.
Insomma pochi istanti e pure faticosi da gestire. Al punto che molti ci rinunciano a priori.
Se mi guardo indietro di anni, di mesi, di giorni ma anche solo di ore, mi rendo conto che i momenti di felicità che ho vissuto sono tanti più di quelli che avevo a disposizione sulla carta. E che spesso li ho trovati laddove non potevo neanche immaginare e, al contrario, non c’erano dove me li aspettavo. Ho imparato che la felicità è più diffusa di quello che si pensa ma che per non farsela sfuggire, bisogna essere disposti a percorrere strade nuove e diverse da quelle indicate dal senso comune, essere determinati e allenarsi parecchio per non cedere al comfort dei luoghi comuni.
E poi serve un’ultima cosa: sdoganare il dirlo. Sì, va detto senza pudore (e senza paura!) che si è felici. Come si dice, senza pudore, che si è infelici, depressi e incazzati. Non solo quando è scontato ma anzi e soprattutto quando non lo è per niente.