Il villaggio

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Da qualche tempo quando si va in vacanza in una qualsiasi struttura ci si mette nell’ottica del resoconto finale. E dal primo istante in cui ci si mette piede. Eserciti di opinionisti che guardano ad ogni servizio con l’idea di offrire un parere. Che diventa a seconda dei casi uno strumento di minaccia o un premio. Detto che siamo partite con la serenità della vacanza, in cui chiudere un occhio è sempre bene, man mano che siamo andate avanti non vedevamo davvero l’ora di avere per le mani quelle quattro domande. Ma non c’è stato verso. Forse per legittima difesa hanno deciso di non somministrarci (come dicono quelli bravi!) il questionario di (in)soddisfazione.
Stanze tristi dagli armadi pericolanti e i bagni perdenti che è solo mancanza di cura e di gusto, non certo di investimenti.
Animazione che faceva ridere e non certo nel senso di rendere la vacanza piacevole. Spettacoli inquietanti, gite saltate senza preavviso con clienti ad aspettare sotto il sole cocente, gite andate a buon fine che era meglio saltassero. Unico vero successo la baby dance. Soprattutto per l’entusiasmo dei genitori, che pur di mostrare le capacità artistiche dei propri figli, sarebbero capaci di apprezzare anche Erode se si prestasse a farli ballare. Animazione decadente, rappresentativa del pressappochismo, del tirare a campare, dello scarso impegno che si pensa basti e invece non basta affatto. Ma se l’animazione si poteva comunque evitare, lo stesso non si poteva fare con la colazione e con la cena. Non parlo del cibo, senza infamia e senza lode, ma della gestione del ristorante. Fantastico sentire i camerieri discutere animatamente in cucina, sia al mattino che alla sera, e poi vederli uscire con indifferenza in sala inconsapevoli di avere tutti gli occhi addosso.
Meno fantastico dover rispondere in un secondo su cosa preferire bere per colazione o scegliere il menù per la cena, pena il loro innervosirsi come se gli stessimo facendo perdere tempo in una gara non meglio identificata. Meno fantastica ancora la volontà di toglierci da sotto i piatti chiedendoci in continuazione se avessimo finito. Che a dire il vero mi sono sentita un po’ a casa. In quelle occasioni in cui mamme e zie si vogliono sbrigare a risolvere la faccenda della numerosa tavolata portandoti via il piatto a metà.
Certo che quando sono arrivati alla lotteria sui dolci (‘Chi lo prende stasera che non c’è per tutti??!’) e ancor di più sui cucchiaini (‘La colpa non è nostra, la gente se li porta via e sono finiti!’), ci siamo ritirate per loro manifesta superiorità. Non prima di avergli manifestato il nostro disagio. A cui è stato risposto che ‘Non era colpa loro ma solo della gente che volevano fare i furbi’.
Un villaggio senza responsabilità e soprattutto senza responsabile.
Triste icona dei nostri tempi. Una nave senza nocchiero in cui tu hai sempre ragione ma la colpa non è mai di nessuno!
Non ci torneremo ma lo faranno altri inconsapevoli. La bellezza della natura e del paesaggio inebriano e fanno dimenticare il resto. Peccato che non si riesca a mettere a reddito la meravigliosa accoglienza del sud. Quella ce l’hai solo nelle case e nelle famiglie. E pensare che se messa a disposizione del turismo varrebbe tanto di più anche del mare.

ndr: quanti cucchiaini mancano nella foto? 🙂

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