In questi ultimi giorni, in varie conversazioni e su tavoli diversi, mi è capitato di parlare di paura.
Sempre con il risultato che il vincente è per tutti chi sembra non averne.
E questo perché affrontare il mondo a viso scoperto, nell’immaginario collettivo, è sinonimo di tutta una serie di caratteristiche eroiche, antitetiche alla paura, come l’audacia.
Credo, al contrario, che l’assenza di paura, ovvero l’incoscienza, non si possa considerare una caratteristica positiva quanto una pericolosa deficienza. Così come la paura estrema che degenera in codardia vada messa al bando perché impedisce lo sviluppo personale e del mondo.
Quello che va considerato mirabile è il superamento della stessa. Sentirla, comprendere cosa ci sia alla base e sedarla. Che non vuol dire necessariamente procedere. A volte può voler dire fermarsi. Sicuramente fare la cosa giusta per minimizzare i danni. Perché la paura è risaputamente un naturale salva-vita che accende un allarme e non va mai ignorata.
Difficile concetto da digerire per noi donne cresciute col mito dell’uomo senza timore. Soprattutto se il risultato dell’analisi li porta a tirarsi indietro.
Ma non è questo il giusto punto di vista. Personalmente con l’età, e con l’esperienza, abbandonato il mito dell’uomo che avanza senza farsi domande (che devo dire oggi mi farebbe davvero parecchia paura!), se dovessi scegliere, vorrei accanto qualcuno che, consapevole dei rischi della vita, voglia trovare proprio insieme a me – e non da solo o anche insieme a me – una strada. Perché questo è amore. Sentimento collettivo che mi interessa più del coraggio in solitaria. Peraltro molto più raro.
One comment